Neurobiologia olfattiva: incontro con Giuliano Iurilli sulla complessità e il futuro della ricerca

da

Giuliano Iurilli, Direttore del laboratorio di sistemi neurobiologici, IIT Rovereto

Quella con Giuliano Iurilli non è stata una “chiacchierata”, come l’aveva definita lui. Ma un vero incontro.

Ha parlato di cose ipercomplesse rendendole fruibili, l’ha fatto in  modo naturale e simpatico. Abbiamo sorriso molto e fatto pause in cui ciascuno di noi rifletteva su ciò che aveva detto l’altro. Per potersi parlare e capire meglio.
Per queste ragioni, l’articolo sarà pubblicato sia nella sezione Incontri che in quella dedicata alla Psicologia del Profumo.
Grazie di cuore Giuliano e a presto!

Dopo aver scritto l’articolo sullo studio ideato e condotto (fra gli altri) da Giuliano Iurilli, mi erano rimaste domande in sospeso e volevo conoscere eventuali sviluppi della materia. Insomma, ero curiosa. E poiché, come dicono gli inglesi, la curiosità uccide il gatto, ho pensato bene di cercare il contatto mail con il Dott. Iurilli, di scrivergli, di chiedergli di poter parlare con lui di tutto questo.

Pensato, fatto. Dopo esserci scritti, egli si è detto disponibile per una “chiacchierata”.

In Italia, in Europa in generale, è sempre tutto più complicato. Assistenti, mail su mail per spiegare le finalità e non è detto che si riesca ad avere un contatto.

Il Dott. Iurilli è italiano, ha una formazione italiana che poi si è estesa in ambito internazionale. Ha fatto ricerca presso l’Università di Harvard per sei anni poi è rientrato in Italia e ha aperto un suo laboratorio all’interno dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Rovereto. Il suo legame con l’ateneo americano è forte tanto che continua a fare ricerca in Italia, in stretto accordo e collaborazione con Harvard.

Egli è smart, pragmatico, elegante.
E in un torrido pomeriggio estivo d’inizio agosto ci siamo parlati per circa un’ora in modo piuttosto “denso”.

Harvard Medical School

Ventuno fogli di trascrizione.
Pertanto, ciò che leggerete sarà una sintesi, per quanto molto molto fedele, di quanto ci siamo detti. Ad eccezione, ovviamente, delle comunicazioni personali. Che sono e rimangono tali.

Lo ringrazio per aver usato un linguaggio che sia comprensibile a molti.
Per quanto mi riguarda, confesso che, pur ricordando abbastanza bene l’anatomia e la fisiologia del sistema olfattivo, sono andata a rileggere tutto, con l’approccio ossessivo che mi caratterizza in questi frangenti.

Innanzitutto, volevo sapere come fosse arrivato a fare ricerca in questo settore.

G.I: Mi sono avvicinato a questo settore solo dopo il dottorato di ricerca Prima mi occupavo principalmente dei meccanismi cerebrali alla base della visione. Solo con il postdoc, quando poi mi sono spostato ad Harvard nel laboratorio di Bob Datta, ho iniziato a studiare problemi olfattivi sostanzialmente perché, a differenza degli altri sensi,  è rimasto ilsensopiù misterioso e quindi affacinante.

Il mio primo lavoro in assoluto sull’olfatto consisteva nel vedere quali fossero i circuiti cerebrali che permettono il collegamento diretto tra i bulbi olfattivi, la seconda stazione olfattiva dopo l’epitelio olfattivo nel naso, e l’attuazione di comportamenti innati, guidati dall’olfatto. Abbiamo utilizzato il topo come modello animale.  I comportamenti innati odour-driven sono,ad esempio, quelli di difesa in presenza di unpredatore. Ad esempio, il comportamento di“freezing” scatenato nei topi dallapercezionedel TMT (trimetiltiazolina, una molecola odorosa che emanadalle feci delle volpi). Un altro comportamento cge dipende dall’olfatto è quello sessuale. La risposta comportamentale di un topo maschio all’odore di urina di un topo femmina è il fenomeno comportamentale più “evidente” che io abbia mai visto nei topi, molto più dell’odore dei predatori, ad esempio. Infine, l’odore del cibo.

Sì, sono un esperto in questo ambito della neurobiologia che non è più una nicchia, altrimenti Nature non avrebbe pubblicato il nostro lavoro. In riviste come ANutre o Science viene pubblicato ciò che è nuovo, ma stuzzica l’interesse della maggior parte degli scienziati; quindi, anche quelli che non sono esperti nel tuo campo.

Sono anche interessato ad aspetti più psicologici, sociali ma il mio focus èsui problemi computazionali posti dall’olfatto ovverocome il cervello faccia appunto a riconoscere e categorizzare gli odori, proprio a livello di hardware.

Ho lavorato ad Harvard sino al 2019 e il resto è noto: sono rientrato in Italia, grazie alla Fondazione Armenise-Harvard che finanzia la mia ricerca, e ho aperto il mio laboratorio presso l’Istituto Italiano di Tecnologia che mi fornisce ulteriore supporto amministrativo e finanziario. Il primo lavoro che abbiamo pubblicato in Italia quest’anno ha riguardato proprio un problema olfattivo.

Giuliano Iurilli fa una breve pausa e poi riprende parlandomi di una questione che gli sta a cuore.

G.I.: Il punto è però che faccio un pò fatica a trovare studenti di dottorato e ricercatori postdoc che vogliano fare ricerca sull’olfatto.

Non sembrano interessati.
In realtà questo è un problema comune che condivido con i miei colleghi. La scorsa primavera sono stato un mese negli Stati Uniti, ho girato per atenei e tenuto seminari alla Brown, alla Duke, a Yale e tutti i miei colleghi mi hanno detto la stessa cosa.

M.Z.M. : E’ un vero peccato. Che risposte vi siete dati fra colleghi?

G.I.: Penso che dopo la pandemia molta meno gente voglia fare ricerca, in generale ricerca di base, intendo. E’ un lavoro che richiede molto tempo e impegno ma non fai business.  Non è sexy fare ricerca in ambito olfattivo, direi.

M.Z.M. A me sembra molto sexy, invece
G.I.: (Sorride) Ma no. Il secondo punto è che i problemi che riguardano la percezione olfattiva, o i comportamenti guidati dall’olfatto, sono molto più difficili da studiare rispetto ad altri. Questo perchè è molto difficile controllare gli stimoli nello spazio e nel tempo.

A differenza del sistema visivo o uditivo dove davvero possiamo testare il sistema, il circuito cerebrale,fornendo un input al sistemae misurandone la risposta, con gli odori fare questo è terribilmente difficile.

Andrebbero probabilmente sviluppate nuove tecnologie, ma per il momento non si sa ancora come fare.

M.Z.M.: Mi verrebbe da porti una domanda banalissima: questa complessità nello studio degli odori non può derivare anche dal fatto che vi sia una componente importante, quella emotiva, data per lo più dal circuito limbico?

G.I.: E’ possibile. Però in quel contesto ci sono molti ricercatori che lavorano sul controllo delle emozioni, quindi corteccia prefrontale, amigdala, ippocampo ventrale e così via. Le nostre conoscenze sui meccanismi biologici delle emozioni avanzano in modo spedito. Quindi direi che la complessità dei fenomeni emotivi non spaventa gli scienziati. Il bello è che spesso questi studi utilizzano lo stimolo olfattivo come un segnale per andare a studiare ciò che accade dopo. Però questi studi non sono interessatiallo stimolo olfattivo in sé e per sé. Utilizzano gli odori perché questi stimoli sono molto più efficaci di stimoli visivi o tattili almeno nei topi. Eppure, avrebbe senso capire come un odore che arriva nel naso si trasforma in una memoria ricca di emozioni nell’ippocampo. In fondo, da un punto di vista anatomico, i circuiti cerebrali che portano dal naso all’ippocampo sono molto più “semplici” che in altri sensi. Come ad esempio la vista.Nel caso dell’olfatto, la sua rete neurale prevede solo trelivelli di processamento dell’informazione: epitelio olfattivo nel naso, bulbi olfattivi e corteccia olfattiva. Anche perché abbiamo meno psicofisica.

Quindi ad esempio, metti che io voglia studiare come uno stimolo sensoriale mi scateni la voglia irrefrenabile di un cheesburger. Se studiassi la visione dovrei cercare di capire come l’insegna di McDonalds che si imprime sulla mia retina arriva a condizionare il mio comportamento. Dalla retina ai centri nervosi che controllano il mio comportamento l’informazione deve passare dieci sinapsi, ovvero dieci stazioni di elaborazione dell’informazione

Invece, se sento l’odore di un cheeseburger è un pò diverso perché l’informazione arriva ai centri di controllo in circa tre sinapsi. Quindi, in teoria, sarebbe più facile sudiare come uno stimolo fisico esterno arriva a condizionare il comportamento di un animale. In teoria…

M.Z.M.: Capisco e torniamo al punto: questi tre livelli però sono ancora un pò misteriosi.
Magari ci sono variabili che ci sfuggono perché non sono quantificabili.
Tu hai fatto l’esempio del cibo. Io ne faccio uno ancora più “basico”:

Ti è mai capitato di incontrare una persona e di trovarla, a pelle, molto piacevole o estremamente sgradevole (senza nessun tipo di interazione,)? A quanto ne so io, i ferormoni umani non sono stati ancora scoperti, però…

G.I.: Sì, questo è quello che si dice…
(Giuliano fa una pausa significativa e io trovo che il discorso si faccia ancora più interessante)

M.Z.M: Sì, si dice così da decenni ormai anche perché noi umani non abbiamo l’organo vomero nasale. Ma qualcosa bisognerà supporre qualcosa… C’è qualche teoria interessante in merito a questo?

G.I.: Ci sono i lavori di Noam Sobel, lavora all’Istituto Weizmann. Credo che lui sia lo scienziato in assoluto più interessato all’olfatto (tra quelli che sono interessati all’olfatto Noam è sicuramente quello che ha l’approccio più quantitativo di tutti.  Assolutamente da seguire).
(E sorride, anch’io per la verità, la definizione che ha dato al collega è …curiosa).

G.I.: Tuttavia, egli è anche molto creativo. È suo anche il lavoro sulle lacrime, in cui si suppone sia coinvolto un feromone.

M.Z.M: Non conosco questo esperimento.

G.I.: Se ad un uomo faccio sniffare delle lacrime, in media tenderà a trovare meno sessualmente attraenti delle foto e a mostrare comportamenti meno aggressivi. Questo perché le lacrime contengono una molecola odorosa che abbassa il testosterone negli uomini. Quale sia questa molecola non è ancora noto, ma ci sono già studi sui topi che mostrano un fenomeno comportamentale simile ed in questo caso si è riusciti ad identificare la molecola. Quella umana potrebbe essere simile a quella del topo. Immagina quando sarà possibile sintetizzarla…

Recentemente Sobel ha ricevuto una cospicua donazione per condurre uno studio su un’altra questione di rilievo clinico probabilmente collegata con l’olfatto.

Il dato di partenza è che il 25% delle donne va incontro ad un aborto spontaneo nelle prime tre settimane. Per cause spesso sconosciute. Spesso si dice che probabilmente c’era qualche mutazione genetica e il sistema ha bloccato tutto prima di andare troppo avanti.

Però Sobel ha notato che c’è anche un’altra questione. Alcune donne che hanno aborti spontanei multipli (più di quattro consecutivi)hanno una percezione alterata degli odori corporei maschili rispetto a donne che non hanno avuto aborti spontanei multipli. Ora Sobelsta testando l’ipotesi che probabilmente l’interruzione di gravidanza in questo gruppo di pazienti può essere dovuta anche all’esposizione ad odori, specialmente a quelli di un altro uomo.Alcuni esperimenti preliminari hanno finora mostrato che donne isolate dagli odori per i primi tre mesi di gravidanzatendono ad avere meno aborti spontanei. Ma i risultati sono ancora troppo preliminari e non vanno assolutamente presi come evidenza di alcunché considerato che stiamo parlando di un tema molto delicato e di grande sofferenza per molte donne.

Comunque, ecco ci sono fenomeni dell’olfatto come questo che si possono, anzi, che è importante studiare.

M.Z.M.: Vero. Mi viene da pensare che quando studiavo all’Università di Padova, ero una studentessa fuori sede, condividevo l’appartamento con due colleghe e ad un certo punto abbiamo avuto la
(E Iurilli conclude la mia frase)

G.I.: Sì, la sincronizzazione del ciclo.

M.Z.M.  … e ci dicevamo, incredibile, ci dovrà pur essere una spiegazione e a lezione abbiamo saputo di questi esperimenti nei college americani che confermavano la nostra esperienza. Tuttavia, la questione dell’esistenza di feromoni umani rimaneva ancora ampiamente aperta.

G.I.: Ma sai a volte si dice che i fenomeni non esistono perché normalmente si pensa, in questo caso, a quella che è la definizione classica  dei feromoni. Però questo non vuol dire che non ci possano essere delle sostanze chimiche volatili che agiscano direttamente a livello ormonale. Io credo che questa sia la parte della neuroscienza dell’olfatto che meriti più investimenti per la ricerca. Credo anche che nei prossimi anni si avranno delle grandi scoperte in questo senso.

Ora sappiamo già, ad esempio, che ci sono circuiti che dal naso portano all’ipotalamo e al rilascio di ormoni. Questo è certo. Però finora non siamo ancora stati in grado di capirne i meccanismi perché solo ora cominciano ad esserci strumentiper poter studiare come funzionano le varie parti e poterle manipolare.

Sarebbe fantastico se si riuscisse a reclutare ricercatori che volessero studiare in questo campo perché, con un pò di fortuna, ne uscirebbero scoperte molto importanti per l’uomo.

M.Z.M.: Una cosa che mi colpisce e alla quale tengo particolarmente è la ricaduta in termini terapeutici.
Ti faccio un esempio nel mio campo, la psicologia clinica: le farmacoresistenze.

Ci sono forme depressive che non riescono ad essere trattate proprio perché il/la paziente non risponde alle terapie farmacologiche tradizionali (dove per tradizionali intendo correnti).

In base ai dati Oms, in Italia sono 300mila i pazienti che non rispondono alle cure tradizionali.
Il dolore mentale dei pazienti e la sofferenza dei familiari sono enormi.

Recentemente ho letto di qualche centro italiano che somministra ad alcuni di questi pazienti (i più resistenti e con tendenze suicide), e in forma strettamente controllata, una molecola che si chiama esketamina.

La nuova molecola anticipa di quindici giorni l’efficacia delle terapie tradizionali che impiegano più settimane prima di dare risultati. I sintomi migliorano già dalle prime ore con effetti più potenti e persistenti rispetto alle terapie standard e sono ben tollerati. Ma si tratta di un farmaco ad uso ospedaliero.

G.I.: In questo caso immagino che non sia una questione di recettori olfattivi ma di utilizzare le mucose olfattive per far entrare il farmaco direttamente, per fare in modo che superi la barriera ematoencefalica, ovvero la membrana che separa le pareti esterne dei vasi sanguigni dal cervello. Nel naso, il cervello arriva quasi “direttamente” in contatto con l’esterno del corpo.

M.Z.M.: Si credo sia così. Credo anche fermamente negli sviluppi che ci saranno in psicofarmacologia. Al momento, ogni tanto, ho la sensazione che si vada necessariamente per tentativi. Di solito faccio questo esempio: un po’ come tanti elefantini in un negozio di cristalli: per buttarne giù uno, se ne buttano giù tanti, troppi.

G.I.: Sono assolutamente d’accordo, è quello che cerco sempre di spiegare anch’io. Tu fai l’esempio degli elefantini, io faccio l’esempio del meccanico. Il punto qualè? Quando hai un problema con l’auto vai dal meccanico ed è un po’ come se il meccanico aprisse il cofano e ci versasse sopra un olio e speriamo che funzioni. In realtà il meccanico non lavora così perché egli sa come è fatto dentro il motore e quindi sa quali parti del motore vanno aggiustate e come fare.

Il cervello come altri organi è in qualche modo una specie di motore. Lo spegni con un’anestesia e non hai più emozioni e sofferenze. Il problema è che non sappiamo ancora bene come è fatto dentro il motore-cervello e andiamo avanti per tentativi. È fondamentale arrivare a capire come sia fatto dentro il motore.

Riprendendo quello che stavi dicendo tu, ho vinto un finanziamentocinque anni fa, partendo dal lavoro iniziato ad Harvard. In quello studio cercavo di scoprire questi circuiti che dal naso vanno direttamente ai centri dell’amigdala. Lo scopo del nuovo lavoroè sfruttare la conoscenza sul funzionamento di questicircuiti per cercare di trovare combinazioni di odori chepossano, per esempio, avere un effetto ansiolitico.

M.Z.M.: Sai che i creatori di profumi, non tutti ovviamente ma molti, si stanno muovendo anche in questa direzione? L’aspetto terapeutico di odori e fragranze.

G.I.: L’aspetto edonistico dei profumi è un mondo lontano dal mio ma l’aspetto terapeutico mi interessa moltissimo.

È importante però, a mio avviso, dare una forma scientifica a tutto questo, creare un modello scientifico, ovvero una mappa di come funziona il sistema. Allora sì che può funzionare perché quando hai un modello hai una mappa che ti permette di andare da un punto A ad un punto B anche se per quella strada che congiunge A e B non ci eriancora passato. Questo vuol dire conoscere un fenomeno e poterlo governare.

M.Z.M.: Sì, capisco ciò che vuoi dire. Anzi, aggiungo: io credo che nei prossimi anni si avvieranno sinergie importanti fra professionisti con “know how” differenti. Stanno già cominciando ad esserci, per quello che ne so. Nel caso specifico, fra scienziati che fanno ricerca olfattiva e creatori di profumi dall’altra. Proprio per arrivare a odori e profumi che possano essere davvero terapeutici.

Vorrei tornare alla tua ricerca pubblicata su Nature. Io continuo ad essere affascinata dal fatto che proprio nel bulbo olfattivo ci sia una sottile discriminazione degli odori e che questa venga un po’ meno, anzi diventi una generalizzazione, nel relais successivo. È il sistema limbico, con tutte le sue aree emotive-mnestiche-affettive, che concorre a determinare questo fenomeno?

G.I.: Quello che stai dicendo tu è corretto. Ma non credo sia precisamente così. Perché che tutto questo avvenga nei bulbi olfattivi, nella corteccia olfattiva non è molto importante.  Non è che l’informazione viaggia dal naso ai bulbi olfattivi alla corteccia olfattiva, alla corteccia entorinale, all’ippocampo. Non è così perché l’informazione viaggia sempre in entrambe le direzioni e nemmeno lungo percorsi lineari tra stazioni successive perchèquestestazioni del cervello sono tutte collegate tra di loro in combinazioni diverse.

Per cui, se qualcosa sta succedendo nella corteccia olfattiva o nell’ipotalamo, un riverbero lo vedrai nei bulbi olfattivi. Perché quello che succede nell’ippocampo, dove appunto ci sono le memorie, in pochi millisecondi viene riverberato nei bulbi olfattivi.

Quindi, come puoi capire, noi in neuroscienza viviamo una certa crisi rispetto al problema della causalità.
(Giuliano Iurilli si infervora; si capisce che questo particolare tema gli sta a cuore. E io lo lascio proseguire liberamente)

G.I.: È davvero difficile nel cervello riuscire a determinare cosa causa, quale struttura del cervello causi qualcos’altro perché, essendo un sistema ciclico, non è possibile determinare chi sta provocando cosa.

Per questo chi studia il cervello sta cercando diadoperare nuovi strumenti matematici. Quelli classici inventati fino ad oggi dal genere umano sono tutti basati, appunto, su una causalità sequenziale, su una logica che non è quella che ritroviamo ora nelle reti neurali e nel cervello.

Quindi tornando al punto, ti rispondo: non è che tutto accada già nei bulbi olfattivi, non esiste tutta questa separazione.

Infine, tieni presente che la percezione di un odore avviene in circa 200 millisecondi. E in quei 200 millisecondi è successo di tutto nel cervello. Cioè la trasmissione sinaptica avviene in 2 millisecondi; quindi, ci sono già stati 100 passaggi di informazione in quei 200 millisecondi. È complesso. E ciò che è accaduto nei bulbi che effetto poi avrà avuto sulla percezione olfattiva?

M.Z.M: Interessante e pieno di sfide. Se posso chiedertelo, a cosa stai lavorando in questo periodo?

G.I.:  Io continuo ad elaborare i dati che abbiamo ottenuto in questi anni che riguardano la percezione olfattiva ma più in dettaglio riguardanole onde cerebrali che si attivano quando sniffiamo, anche in assenza di odori. Invece, i le ragazze ed i ragazzi che lavorano con me in laboratorio stanno studiando cosa determina la sintassi del nostrocomportamento motorio.

Il presupposto è che il nostro comportamento motorio non sia quasi mai una semplice questione di stimolo-risposta. Tutto ciò che io sto facendo in questo momento non è semplicemente una risposta a qualche stimolo. Oggi chi studia il cevelloipotizza checi sianodelle regole scolpite nel nostro cervello che noi non conosciamo, ma che determinano la sequenza spontanea di azioni cheognuno di noifarànella prossimadecina disecondi anche se non ne siamo consapevoli. E come non tutte le possibili sequenze di note musicali siano orecchiabili, così, non tutte le possibili sequenze di gesti motori sono funzionali. Un cervello normale esegue solo le sequenze piùfunzionali. E per fr ciò ci sono regole sintattiche come le regole che governano i linguaggi comprensibili o la musica.

Il problema è che noi non conosciamo ancora queste regole sintattiche e non sappiamo quindi come le sequenze spontanee dei nostri gesti vengano compostedalnostro cervello. Ma rimane un problema importante.  Pensa, ad esempio, ad un paziente con il Parkinson, una persona che sta ferma per ore, senza fare niente e non perché abbia dei problemi motori. Perché se scattasse un allarme antincendio probabilmente si alzerebbe e scapperebbe giù per le scale, più velocemente di me e di te. Il suo problema è che se non c’è nessun segnale sensoriale saliente, appunto, il suo cervello, diversamente dal nostro, non è in grado di generare un comportamento motorio spontaneo.

Questo studio ha una rilevanza sia clinica che concettuale.

M.Z.M. :  A proposito di malattie neurodegenerative, penso all’Alzheimer che ha un’incidenza sempre più alta sulla  popolazione. In Italia si stima che la demenza  colpisca oltre 1, 2 milioni di persone,

Nel 60-70 per cento dei casi è l’Alzheimer.

So che in numerosi ospedali in Francia, ad esempio, utilizzano set di odori, generalmente odori che caratterizzano la vita di molti di noi, per cercare di mantenere, il più a lungo possibile, tracce di memoria. Soprattutto in riferimento alla memoria a lungo termine.

Tuttavia, in quel contesto, viene utilizzato un metodo clinico, manca il dato quantitativo. Ritengo che questo sarebbe meritorio di un approfondimento

M.Z.M.: Un’ultima domanda: esistono già, e faccio riferimento all’articolo che ho letto sul tuo studio pubblicato da Nature, dei cervelli sostanzialmente artificiali utilizzare in un nuovo robot?

G.I.: Ovviamente esistono vari tentativi ma si può sempre migliorare. Il punto però è quello che si diceva prima. Occorre prima di tuttoscoprire la mappa degli odori.

Nel sistema visivo, se io ti do una lunghezza d’onda, tu mi sai dire qualè il colore. Basta consultare la mappa dei colori. Nel sistema olfattivo non è così. Anche se c’è un mio caro collega conosciuto ad Harvard che ci sta lavorando intensamente.

Si chiama Alex Wiltschko.

Quest’anno ha pubblicato su Nature la prima mappa degli odori attraverso l’utilizzo di AI. In questo modo è possibile predire molto bene ciò che un pannello di “nasi” sentirà se esposti ad una nuovamolecola. Questo vuol dire chepossiamo anche predire come certe molecolemai sintetizzateprimaverranno percepite da un essere umano. E così come possiamo digitalizzare i colori per trasmetterli per esempio dalla mia webcam allo schermo del tuo computer, forse tra qualche anno saremo in grado di fare lo stesso con gli odori.

Ecco: questa è LA notizia più eclatante che non mi sarei (ancora) aspettata.

Io e Giuliano Iurilli parliamo ancora un pò di questo. Rimarremo in contatto. Sarà un grande piacere per me conoscere gli sviluppi (imminenti) di questo studio e poterne scrivere. sul mio sito