Ci sono persone che, pur vedendole poco, abitano il nostro cuore come presenze leggere e indispensabili.
Per me, Miya Shinma è questo: un’amica rara, discreta, che porta con sé la grazia silenziosa di un gesto gentile.
Quando penso a lei, vedo una donna che ha saputo unire due mondi — il Giappone della sua infanzia e la Francia della sua maturità — tessendo un dialogo continuo e armonioso tra Oriente e Occidente. Immagino il Giappone con il monte Fuji che si staglia all’orizzonte della sua casa di famiglia e vedo Parigi, la città che ha scelto, dove il suo atelier vicino a Place des Vosges custodisce il segreto dei suoi profumi.
Miya Shinma intreccia la poesia della natura giapponese – il tè verde, il legno – con la raffinatezza della profumeria francese, creando un universo in cui il tempo sembra rallentare e il gesto di profumarsi diventa un rituale d’anima.
Quando attraverso il suo mondo — in senso fisico o mentale, immaginativo — sento sempre una sorta di tregua: un respiro profondo, come il vento lieve che accarezza i ciliegi in fiore, come il sole che accende i tetti di Parigi al tramonto.
Quando varcai per la prima volta la soglia del suo atelier, decisamente prima che il mondo cambiasse, ovvero prima della pandemia da Covid, mi invase un’emozione intensa. Place des Vosges è un luogo a me caro: Georges Simenon vi aveva ambientato, in alcuni romanzi, la casa del commissario Maigret, personaggio che adoro, e camminare in quella piazza, sapendo di incontrare Miya, fu come unire in un unico respiro passioni profonde.
Ricordo ancora il tè che Miya mi offrì quel giorno: lo porse con una grazia silenziosa, trasformando quel semplice gesto in una cerimonia intima, personale, unica. Amo il tè, e quel momento è scolpito nella mia mente come un piccolo haiku vissuto: poche gocce di tempo, un mondo intero racchiuso.
Quando parliamo, mi colpisce sempre la calma che trasmette, quel modo di abitare lo spazio senza mai invaderlo. È come se ogni suo gesto fosse la prosecuzione della sua arte.
Ora che mi preparo a intervistarla per La senteur de la neige, sento riaffiorare quelle immagini: il monte Fuji all’orizzonte, i tetti di Parigi al tramonto, Place des Vosges che sussurra storie letterarie, una tazza di tè tra le mani… e, al centro di tutto, Miya, presenza luminosa e rara.
Sono emozionata.
E’ difficile porre domande a quella che considero un’amica cercando di mantenere ciò che conosciamo l’una dell’altra all’interno di uno spazio riservato e proseguire su un canale professionale per quanto intriso di affetto profondo.
Ci siamo conosciute la prima volta a Firenze, incontrate a Milano e a Parigi, ci siamo scritte mail, abbiamo comunicato via whatsapp. Ci siamo riviste a Milano pochi mesi fa, con grande e profonda emozione. Ma c’è stato solo il tempo di un lungo abbraccio e brevi aggiornamenti.
Oggi ci vediamo online.
Ed è con questo bagaglio di immagini, di affetto e di gratitudine che mi preparo a porle la prima domanda,
– Miya la cultura giapponese e quella francese coesistono, si incontrano nei tuoi profumi e questo si sente.
-M.S. – Io lo spero proprio, di tutto cuore. In fondo, credo che per me questa sia una sorta di missione. In Giappone nessuno parlava mai del profumo. Non c’era nessun creatore di fragranze.
Nella migliore delle ipotesi, esso era considerato come un accessorio, niente di più.
Miya Shinma ha tradotto in lingua giapponese libri sul profumo e su tutto ciò che lo riguarda.
L’anno scorso, ad esempio, ha tradotto in giapponese Le Grand Livre du Parfum edito da Nezculture. “Per creare un ponte fra le due culture, quella francese e quella giapponese” afferma.
E ne ha scritti parecchi a partire dal 2000.
E’ stata la prima creatrice di profumi giapponese e la prima a compiere una rivoluzione culturale nel proprio Paese di origine.
M.S. – Quando sono arrivata a Parigi e mi sono immersa in questo mondo, ho scritto il mio primo libro, pubblicato in Giappone (Cours à Paris). Era il 2000. Certo parlava di me, della mia vita e del mio amore per il profumo. Ma ciò che volevo davvero era trasmettere alle altre donne la forza di credere nei propri sogni e contemporaneamente porre le basi per una cultura olfattiva. Nel 2005 ho scritto un altro libro (L’amour commance par un parfum) in cui parlavo di me ma in quel libro ho cominciato a parlare dei profumi che ho “incontrato” e dei loro sentori. E’ stato tutto graduale ma ora certamente esiste una cultura del profumo in Giappone e io cerco di fare tutto ciò che posso per essere al servizio di questo.
Il prossimo libro uscirà in agosto con il titolo Cent mots pour apprecier le parfum.
Ho scelto cento parole che, a mio avviso, sono rappresentative di aspetti molto diversi tra loro e che riguardano il profumo e il suo mondo. A partire dai creatori di profumi.
– Cosa vorresti trasmettere con le tue fragranze? Raccontare storie o suscitare emozioni?
M.S. – In effetti entrambe le cose ma non in modo diretto. Attraverso il profumo, io non racconto storie mie, personali.
Tuttavia, desidero condividere le emozioni che tutti noi proviamo o abbiamo provato in alcune esperienze o momenti di vita. E spero che le mie arrivino a chi indossa i miei profumi.
Ho provato emozioni intense quando mi sono letteralmente innamorata del mondo del profumo.
E le provo ancora.
– Hai dichiarato che la natura ha un ruolo ispirante per te. In che modo lo è?
M.S. – Molte delle mie emozioni arrivano proprio dalla natura. Nel mio cuore ci sono i paesaggi naturali del Giappone. La natura c’è, esiste, ha e trasmette una grande forza. E’ simile all’ arte, a mio avviso.
Con questo, io non sono pretenziosa e non credo di fare arte. Tuttavia se quello che creo arriva come una vibrazione positiva ecco, allora ne sono felice.
– Me lo dicesti tempo fa. Sei molto legata alla natura anche perchè ci sei cresciuta.
M.S. – Sì è così. Un pò come accade a Grasse, nel sud della Francia, durante la stagione del gelsomino, quando il suo sentore si sente ovunque, così accadeva per me in Giappone durante la stagione di raccolta del the verde.
Un profumo costante, 24 ore al giorno. Quando di notte lasciavo la finestra aperta, il suo profumo impregnava completamente l’aria nella mia stanza. E così accadeva in tutta la città..
– Non pensavo che il the verde avesse un sentore così potente.
M.S. – Sì, ce l’ha. Soprattutto durante la raccolta delle foglie e la lavorazione che ne segue. In un certo senso è un processo molto simile al metodo della distillazione che si utilizza per creare i profumi.
Il the verde in Giappone è un rituale antico e molto rispettato.
Non tutti lo conoscono in modo preciso.
Quando mi sono trasferita a Kyoto per frequentare l’università ho avuto il privilegio di prendere lezioni per imparare, secondo i canoni tradizionali, la cerimonia del the.
Il the verde. Certo che ricordo bene i dettagli di quando me lo offrì. In effetti, ebbi la sensazione di una cerimonia o almeno di una parte di essa. Mi fece scegliere una tazza e me ne spiegò la storia. Era un oggetto antico. Fra l’altro avevo scelto il più prezioso. E ad un certo punto ebbi il terrore che potesse scivolarmi dalle mani. Ho avuto fortuna, non accadde.
All’Università ho studiato antropologia culturale giapponese e so che nelle loro ritualità è spesso incluso il concetto di sacro. Un concetto che ha accezioni differenti da come lo intendiamo noi. Sacra è la cerimonia del the così come sacro è il Monte Fuji.
– Cos’è per te l’eleganza in un profumo?
M.S. – In generale per me l’eleganza è la semplicità, la normalità.
(Non mi sarei aspettata una risposta diversa da Miya. Ho colto il significato di ciò che intendeva. Ma ho pensato di proseguire il discorso).
– Capisco. Ma non è così semplice essere semplici.
(Miya sorride, anch’io)
M.S. – E’ proprio questo che è difficile. Credo che, in fondo, l’eleganza sia la semplicità nella sua versione migliore.
Ci soffermiamo a lungo a parlare del concetto di eleganza che i nostri rispettivi padri, che purtroppo non sono più con noi, non fisicamente almeno, hanno cercato di trasmetterci sin da quando eravamo piccole.
Uomini ancorati alla tradizione della propria cultura e, contemporaneamente, estremamente moderni e lungimiranti nell’educare delle figlie femmine.
Ci siamo un pò emozionate nel parlarne.
Per quanto riguarda il mio di padre, egli mi ha sempre parlato dell’eleganza come di un valore innanzitutto interiore, intangibile.
Che certamente si manifesta anche in forme visibili, estetiche.
E che mi avrebbe dato la possibilità, se l’avessi coltivata, di fare delle scelte mantenendo un margine non banale di libertà interiore.
– Quali sono le materie prime naturali che ami particolarmente?
M.S. – Tutto m’interessa e mi incuriosisce. L’importante, per me, è poter lavorare con materie di alta qualità.
Però, ad esempio, posso dire di amare molto l’accordo legnoso. Esso dona un certo tipo di struttura alle fragranze che per me è importante.
Sono nata in una famiglia che si occupa di legno di alta qualità.
Tutta la nostra casa era in legno. In Giappone, nelle case tradizionali come la nostra, anche la vasca da bagno è in legno.
Fra l’altro riesco a riconoscere la qualità di un legno sentendone l’odore.
Penso che i ricordi della mia infanzia mi accompagnino tuttora.
Mio padre era un uomo piacevole, divertente. Amava moltissimo la musica.
Così io a tre anni ho iniziato a prendere lezioni di organo. A cinque a studiare pianoforte.
Ma al di là di suonare lo strumento, ho studiato composizione musicale.
– In effetti, molti creatori di fragranze sostengono ci sia un legame molto forte fra la creazione musicale e quella di un profumo.
M.S. – Certamente. Io ho molto amato imparare la composizione musicale sin da piccola. E’ stato un grande piacere. Così, quando ho scoperto il mondo del profumo, è stato naturale per me pensare di imparare a comporlo. Si tratta in entrambi i casi di creare accordi.
– Dunque, a tuo parere, si potrebbe dire che i ricordi olfattivi possono contribuire molto a costruire le nostre identità individuali?
M.S. – Nel mio caso lo è. D’altronde penso anche che la maggior parte delle persone non focalizzi la propria attenzione su questi aspetti della memoria (olfattiva, in questo caso). Tuttavia, questo non significa che essi non siano presenti e attivi.
– Vuoi dire che sono meccanismi inconsci, in termini psicologici.
M.S. – Sì, credo di sì. E’ un pò come respirare. Non te ne rendi conto ma lo fai, è essenziale e naturale, contemporaneamente.
A Milano, qualche mese fa, ho avuto il piacere di sentire l’ultima creazione di Mia Shinma.
Ed è stato un colpo di fulmine.
Un pò come avvenne anni fa quando ci incontrammo la prima volta. Una sua fragranza JUKI (neve, in giapponese) mi arrivò dritta al cuore.
La neve è un elemento naturale che ad entrambe apporta serenità.
Quello fu il primo aspetto che ci accomunò.
Ma tornando a HIRARI, l’ultimo profumo che Mia Shinma ha creato, sono rimasta colpita dalla costruzione.
Essa è solo apparentemente semplice. Si regge su una struttura legnosa, l’ebano nero, per poi “danzare” con un iris magnificamente lavorata. E delle note di fondo muschiate.
HIRARI è un termine giapponese che indica “la libertà che si percepisce nei movimenti della ballerina”.
Ripensando all’emozione intensa che ho provato sentendolo, mi sono ricordata dell’odore di legno e pece che impregnava la sala dell’accademia di danza classica che ho frequentato a lungo, per nove anni, sin da piccola. Avevo cinque anni eppure quei ricordi sono indelebili, intatti. Perfetti.
– Un paio di curiosità assolutamente “leggere”.
Tu indossi i profumi?
M.S. – Generalmente no. Lavoro tutti giorni con essi, amo farlo. Ma non ne indosso se non in occasioni particolari. E in quel caso amo indossare un profumo che risuoni dentro me con ricordi belli, piacevoli.
– C’è un momento della giornata o un rituale a cui non potresti mai rinunciare?
M.S. – Sì, è il bagno. La mattina e la sera. Per noi in Giappone è una questione d’igiene personale ma anche una ritualità.
Quando ad esempio devo viaggiare, che sia per lavoro o per il piacere di farlo, mi assicuro sempre che la stanza dell’hotel abbia la vasca da bagno. Che tristezza, altrimenti!
Sorridiamo molto insieme. Io al mattino devo fare una doccia calda-fredda. Se facessi un bagno, immediatamente dopo potrei tranquillamente tornare a dormire.
Miya mi conferma che in Giappone la doccia non è molto diffusa. Non nelle famiglie e case tradizionali.
Parliamo d’altro. Di questioni che non costituiscono un particolare interesse per questo articolo.
Probabilmente ci rivedremo in estate, in Italia, in un contesto personale. Lo spero, lo desidero molto.
Arriva il momento dei saluti. Ci salutiamo a distanza ma vicine.
Un click e ci allontaniamo.
Ognuna di noi due ritorna alla propria vita, alla propria quotidianità. Pur nelle nostre individualità e differenze, ogni volta percepisco con lei un filo sottile. Che unisce.
Miya mi ricorda, senza verbalizzarlo, che l’eleganza più vera è quella che consola. E’ come seta che sfiora la pelle senza stringere, che resta anche quando ci si allontana. Ed è forse per questo che, pur vedendoci poco, io le sono e le resto profondamente affezionata: perché in lei ritrovo ogni volta un rifugio, un monte Fuji interiore che sa accogliere, e un piccolo angolo di Parigi dove il tempo si fa gentile.