Come il nostro cervello riconosce gli odori

da

Quando scrivo che l’olfatto è il più potente ed evocativo dei sensi lo faccio con convinzione profonda. E’ anche il più misterioso. E affermarlo non è una questione poetica od estetica. In effetti mentre i meccanismi di vista ed udito sono chiari ai ricercatori, questo non si può dire che valga anche per l’olfatto. Nel 2020 è stato pubblicato su Nature uno studio condotto dall’Istituto Italiano di Tecnologia a Rovereto e dall’Università di Harvard a Boston in cui è stato identificato il meccanismo che il nostro cervello utilizza per distinguere gli odori.

Un punto essenziale è che noi non siamo in grado di dire che odore possa avere una molecola semplicemente guardando la sua struttura chimica. Questa constatazione è solo apparentemente banale e non immediatamente comprensibile. Si tratta in sostanza del modo e della possibilità di scegliere fra discriminazione e generalizzazione olfattiva a seconda delle esperienze soggettive.

Cercherò di scendere un pò più in dettaglio.
Lo studio italo-americano coordinato da Bob Datta della Harvard Medical School di Boston, ha scoperto come ciò avvenga soprattutto quando le molecole odorose hanno strutture chimiche simili. I gruppi di ricerca italiani coinvolti afferenti al Centro di Neuroscienze e Sistemi Cognitivi dell’IIT di Rovereto,erano due. Il team di Giuliano Iurilli, rientrato in Italia grazie alla Fondazione Armenise Harvard e quello di Stefano Panzeri, coordinatore del Centro. Iurilli, uno degli ideatori della ricerca, che ha fatto da ponte fra Italia e gli Stati Uniti spiega:

“Abbiamo sviluppato metodi di analisi ad hoc e abbiamo visto che inizialmente i neuroni sensoriali presenti nel naso catturano le molecole odorose e le analizzano quasi come fanno i cromatografi, macchine che descrivono precisamente le differenze chimiche tra molecole diverse”.

Questa particolare precisione riguarda la prima decodifica dello stimolo olfattivo che avviene nel naso. La situazione cambia quando le informazioni qui elaborate vengono trasmesse al cervello ad una struttura che si chiama corteccia olfattiva. Qui la descrizione degli odori diviene più soggettiva e legata alla memoria (all’esperienza, dunque) e non rispetta più le differenze chimiche.

“Abbiamo scoperto che questo avviene perché le esperienze passate modificano il modo in cui i neuroni della corteccia olfattiva si scambiano le informazioni chimiche che hanno ricevuto dal naso” – conclude Giuliano Iurilli – “Ora possiamo cominciare a pensare concretamente a come costruire un cervello artificiale che faccia la stessa cosa in un robot”.

Questo studio è straordinario. Mi piacerebbe saperne di più, sapere quali evoluzioni ci siano state in questi ultimi quattro anni, capire se e come abbiano iniziato a creare un cervello artificiale sufficientemente complesso da poter discriminare e generalizzare. Mi viene però da osservare che un cervello artificiale non è dotato di emozioni, di esperienze, di soggettività. Neanche di una corteccia olfattiva, a dire il vero. E poiché gli odori portano con sé e a noi, in un istante, emozioni e ricordi, mi chiedo come sia possibile, in un contesto artificiale, ovviare a tutto ciò.

Infine, i profumi e soprattutto i profumieri.
Uomini e donne che seguono un apprendistato specifico per “memorizzare” e in seguito identificare e riconoscere centinaia e centinaia di odori (in realtà sto facendo una stima al ribasso della quantità numerica). Come percepiscono gli odori quando non sono in laboratorio per creare ma ,ad esempio, si trovano in una città sconosciuta? In un Paese mai visitato precedentemente? Il loro cervello come crea le Mappe olfattive attraverso le quali orientare il proprio olfatto? Queste sono domande che mi pongo in un torrido pomeriggio italiano ma che mi sembrano curiose e interessanti anche da un punto di vista scientifico.
Cercherò risposte adeguate e poi ne scriverò con grande piacere.